Il mondo degli scrittori – perché vale la pena o meno di scrivere

Il mondo degli scrittori – perché vale la pena o meno di scrivere

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Scrittori: perché?

Il mondo degli scrittori, una breve analisi.

Scrivere in un mondo dove tutti lo fanno, ma nessuno è davvero interessato a leggere. Dove nessuno è davvero interessato a conoscere il pensiero altrui.

Oggi pubblicare è facilissimo. Ma è davvero un vantaggio?

La ormai non più recente recente moda dell’autopubblicazione, che qualcuno ancora si ostina a chiamare vanity press, ha cambiato radicalmente il mondo editoriale e, soprattutto, quello degli scrittori.

Qualche riflessione su come è cambiato il mondo degli scrittori e su come stanno cambiando anche gli scrittori stessi.

La domanda a monte è proprio questa: perché fare gli scrittori?

Nel film “Possession, una storia romantica”, la fittizia scrittrice  Christabel La Motte riposava sotto a una lapide che portava come iscrizione “agogniamo solo un polveroso scaffale”. In questa frase credo si riconoscano molti che, come me, hanno cominciato a scrivere prima dell’era digitale.

Come ho già raccontato tante volte, quando entravo nella libreria Romagnosi, una delle più grandi, confusionarie, vecchie librerie di Piacenza, fin da ragazzina mi beavo della vista di questi scaffali altissimi, carichi di libri, delle pile di volumi accatastati ovunque e mi chiedevo: vorrei davvero perdermi qui dentro, sapere che il mio libro è solo uno nel mucchio, sperduto fra milioni di altri?

La risposta era sempre sì. Sì, perché non potevo sapere se un giorno la mano del lettore, del “mio” lettore, sarebbe arrivata a scovare il mio scritto nella polvere,  lo avrebbe scelto, portato a casa e amato.

Il mio sogno era un po’ quello del colpo di fulmine, come lo si legge nei romanzi d’amore. Da qualche parte nel mondo poteva esserci qualcuno che aveva bisogno di me, di leggere ciò che avevo da raccontare. Qualche anima gemella alla mia che avrebbe capito, che avrebbe fatto suo il mio sogno.

Mi sbagliavo? Quanto è rimasto di quel romantico sogno in me e in altri scrittori?

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Scrittori: a che prezzo?

A cercare il termine “vanity press“, su wikipedia, si trova la definizione di editoria a pagamento.

Oggi l’ostacolo per i narcisi della letteratura è aggirato da tante possibilità di pubblicazione a costo zero (poi le spese sono altre, per copertina, pubblicità ecc, ma il libro esce gratis).

Questa innovazione sta facendo vacillare anche i più accaniti fautori del NOEAP (autori contro l’editoria a pagamento). Anche perché, diciamocelo: che cosa si ha da un editore medio-piccolo che non possiamo darci da soli?
Non so quanti autori fra le mie amicizie abbiamo un editor all’americana, uno nello stile di Margaret Tate di “Ricatto d’amore”, che ti telefona in continuazione, che fa le ricerche in doppio per assicurarsi che le date nel tuo libro siano esatte, che organizza le presentazioni al posto tuo…? In molti casi, è già miracoloso avere un editor, una distribuzione, un numero di copie superiore agli amici di facebook dell’autore.

Sempre più editori, poi, hanno gettato la spugna e propongono solo la pubblicazione in ebook. Anche la mia saga uscirà così. Fine della poesia.

Bisogna leggere questo articolo di Ivano Mingotti  per capire com’è realmente la situazione.

Vale davvero la pena di passare mesi e mesi a caccia di editore, aspettando risposte che di solito non arrivano, per poi avere soltanto qualcun altro con cui dividere la torta dei diritti? Alla fine, se le premesse sono queste, anche il NOEAP ha il suo prezzo. Se nulla dà e prende solo parte dei guadagni.

Rimane il nome. Pubblicare con un editore che non chiede soldi significa avere trovato qualcuno che ha creduto nella tua opera e ha deciso di metterci nome e faccia per portarla ai lettori. Questo, a tutti gli effetti, è un valore. È qualcosa che a noi scrittori, tutto sommato, piace. Ci sentiamo più veri, in fondo, se abbiamo un editore. Ci sentiamo “più scrittori”.

Fin qui, devo precisare, ho fatto riferimento solo alla media e piccola editoria. Dei grandi, come Mondadori, Feltrinelli ecc non sto parlando. Quelli sono altri mondi, altri canali, altri numeri. È un po’ come parlare di Inferi e di Campi Elisi. I loro scrittori sono là, davvero negli scaffali, davvero distribuiti, davvero pubblicizzati,  (davvero scrittori), tutti noialtri ci agitiamo anonimi nello stesso indistinto luogo, alla ricerca di qualcuno che ci legga.

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Scrittori: in che mondo?

Il punto di partenza di questo post, però, era “motivarsi a scrivere”.

Il punto focale era la scrittura. Il fenomeno, ahimè, è analogo al meccanismo dei social: sono nati per far comunicare la gente, ma la gente grazie a essi ha smesso di farlo. Non ci si ascolta, non ci si legge. Tutto è un continuo rimpallare contenuti anonimi, proporre immagini nate per suscitare invidia (fino a mentire per essere al pari degli altri). Facebook ti chiede a cosa stai pensando, ma la realtà è che non interessa a nessuno. Tutti sono troppo impegnati a creare una propria immagine.

Lo stesso accade con la scrittura. Tutti scrivono, dice il mantra, ma nessuno legge. Non è del tutto vero: perchè gli autori self sono ottimi lettori di altri self, anche solo per ricambiare il favore o sperando di ricevere la stessa cortesia. Chi non legge, semmai, è il lettore tradizionale, che tradizionalmente, si sa anche questo, non legge (o è solo una leggenda metropolitana, i lettori che leggono ci sono, ma non leggono noi).

Dunque, per scrivere oggi occorrono motivazioni diverse rispetto al passato. Non è più necessario aver qualcosa di serio da dire: i libri che piacciono sono quelli meno impegnati, quelli che servono a rilassarsi qualche ora, quelli che “ti fanno staccare”.

Non occorre essere laureati in filosofia o in lettere per scrivere questo tipo di opera.

Allora? Che cosa vogliamo fare noi creature dalla penna facile?

Oh, Comunicare. Sempre e comunque. Vogliamo l’immortalità. Vogliamo entrare nella vita degli altri con prepotenza e lasciare il segno, fosse altro che un sorriso dopo una giornata da dimenticare.

Vogliamo che la rete abbini la nostra faccia a qualche mucchietto di parole, vogliamo essere qualcosa di più di due piedi fotografati in spiaggia. Vogliamo che accanto a quei piedi ci sia la nostra copertina, a cui teniamo più della nostra stessa faccia.

Ci piacerebbe che il mondo fosse quello di un tempo, che il sagomato davanti alla libreria fosse dedicato a quel nostro fortissimo sogno, vorremmo che esistesse l’editor che ci telefona per sapere quanto manca al termine del nostro prossimo libro, vorremmo ricevere pile di lettere dai lettori che ci dicono quanto è piaciuto il nostro amato libro.

Ci piace, in attesa che tutto questo si realizzi, aiutare altri a vivere la stessa illusione, leggendo, commentando, mettendo stelline ai nostri simili, come se lo facessimo per noi stessi.

Ecco. Noi scrittori moderni, post Amazon, siamo così. Patetici, forse.
Ma motivati da quella spinta interiore che non possiamo frenare, soprattutto se accompagnata dalla folle idea di aver qualcosa da dire, di avere per le mani un messaggio così importante da non poter essere taciuto.

Che siamo bravi o meno, esperti o principianti, siamo gli stessi che prima agognavano a un polveroso scaffale e che adesso, se proprio a quello non arriviamo, ci basta entrare in una cartella di file.

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